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rina d'amico

CIAO RINA
Rina D’Amico faceva un numero aereo, non è un numero di particolare difficoltà tecnica, ma se la corda a cui sei attaccata per i piedi cede non c’è proprio niente da fare. Così è successo ad Anguillara, sulle rive del lago di Bracciano una sera di settembre del 1984. Avevo conosciuto la sua famiglia qualche mese prima a Rosignano, perché avevo bisogno di un ambiente più grande della baracca di ferro che avevo come chiesa per celebrare le Cresime e il loro circo era proprio giusto. Così l’affittai. Era passato meno di un mese quando don Franco mi avvisò dell’incidente di Rina e mi chiese di accompagnarlo ad Anguillara. Stava già molto male e mi chiese di fare l’omelia, ero in imbarazzo. Rina fu sepolta al cimitero di Prima Porta a Roma: è un cimitero talmente grande che vi passano i bus per collegare le varie zone, trovarvi posto è sempre difficile e spesso le salme sono conservate in depositi prima di trovare sepoltura, così sarebbe accaduto se il fratello non si fosse accorto che il posto accanto al papà morto qualche anno prima era ancora vuoto; non si sa perché ma era sfuggito all’amministrazione, tralascio qualsiasi commento.

Ecco il testo dell'Omelia:

Quando lo scorso anno stavamo preparando il numero di «In Cammino» ci capitò in mano la foto del circo «Montecarlo», così pensammo di togliere una striscia nel mezzo e metterci una preghiera. In questa preghiera si dice anche: «Insegnami l'arte di sostare un poco ... ». Ecco questo è ciò che la Rina ci sta insegnando oggi.
Guardiamo come è fatta la nostra vita: è un correre dalla mattina alla sera, senza sosta. Si va per piazze, si cerca di offrire lo spettacolo alle scuole, e poi ci sono i permessi, gli allacci; c'è da cercare il fieno e la carne per le bestie; c'è da ripitturare quel camion, da sostituire la ruota, c'è da fare la spesa, da sostituire il quarzo bruciato, da provare uno spillo nuovo, e poi il matinée, lo spettacolo serale, c'è da uscire per l'invito, da stare dietro alla musica, da cambiarti per il numero, per il Toni, per il finale ... sembra che la vita del circo sia solo una corsa.
E' tutto giusto? e noi? quanto tempo dedichiamo a noi stessi, a scoprire il valore della nostra vita? si vale soltanto per quello che sappiamo fare o c'è in noi stessi un valore più grande?
E quando pensiamo a Dio? Chi è Lui per noi?
Ecco, nella tragedia di questo momento, in mezzo a tanto dolore, un dolore che non ha misura e che non si può esprimere, Rina ci sta insegnando «l'arte di sostare un poco». Tutto il circo italiano si è fermato ed è qui, vicino a Rina, per partecipare al dolore della sua mamma e dei suoi fratelli. È un momento importante per tutti perché ci aiuta a sostare ed a riflettere, a prendere un po' di tempo per se stessi: la nostra vita è così fragile e così breve, è come attaccata ad un filo che si può spezzare da un momento all'altro. Allora ... bisogna saper vivere bene questa vita che è dono di Dio, noi che confidiamo troppo spesso nelle nostre forze.
Se siamo artisti nella pista, dobbiamo imparare ad essere artisti nella vita perché, quando il Signore ci chiamerà, possiamo offrirgli qualche cosa di bello.
Qualcuno ha detto: «questo, Dio non doveva permetterlo». È stato il dolore che ha parlato, non il cristiano. Perché il cristiano sa che Dio è grande, è buono e generoso con noi, sempre. Anche adesso che la Rina non è più in mezzo a noi, come prima.
Noi non sappiamo qual'è il progetto di Dio, qual'è il suo «programma» per dare la salvezza a tutti gli uomini, anche a quelli del circo; ma sappiamo anche che niente è perduto o gettato via. Il sacrificio della Rina, quante vite salverà, quanti controlleranno gli attrezzi più spesso, o proveranno più a lungo certi spilli, o cercheranno di essere più prudenti e meno sicuri di se stessi? Dobbiamo avere fede, avere la certezza che la Rina vive ed è vicina a noi, anche se in modo diverso, proprio perché è più vicina a Dio.
Dobbiamo saper accogliere il suo sacrificio come un dono, duro da accogliere, difficile da capire, un dono che ci fa soffrire, ma come un dono di Dio. Accogliamo questo dono come la madre di Gesù, che senza capire ha accolto ogni sofferenza sua e di suo Figlio, per conservarla nel suo cuore e per trasformarla in preghiera. E ringraziamo il Signore, perché, come si legge nel Vangelo: «hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai fatte conoscere ai semplici» (Luca 10, 21).

In Cammino, dicembre 1984